venerdì 19 febbraio 2016

Differenza tra: patto commissorio e datio in solutum



Oggi, ci troviamo ad affrontare un argomento molto delicato inerente la differenza tra il patto commissorio e la c.d datio in solutum, in quanto, spesso, lo stesso è oggetto di gran confusione, non riuscendo bene a distinguere ciò che è lecito o illecito.
Cerchiamo di fare un po' di chiarezza.
Il legislatore, con l'art. 2744 c.c. ha espressamente sancito il divieto del patto commissorio, prescrivendo che: “è nullo il patto col quale si conviene che, in mancanza del pagamento del credito nel termine fissato, la proprietà della casa ipotecata o data in pegno passi al creditore”
Per fare un esempio, si pensi a Caio che ottiene una somma di denaro da Tizio e offre un proprio bene in pegno o in ipoteca , con l'accordo che, in caso di mancato pagamento, la cosa data in pegno o in ipoteca passi in proprietà di Tizio stesso.
Ciò, risulta vietato dalla legge per varie ragioni:
  • in primo luogo, il patto è vietato perché il debitore risulta pregiudicato dalla coercizione esercitata dal creditore. Infatti, la ratio del suddetto divieto, consiste nell'intento di impedire che il debitore debba sottostare alla volontà del creditore e, spinto dal bisogno gli conferisca la facoltà di far propria la cosa data in pegno o ipotecata sperando di riscattarla in tempo.;
  • in secondo luogo, perché può esserci una sproporzione tra il valore del debito ed il valore della cosa pretesa dal creditore ( infatti il bene dato in pegno o sottoposto ad ipoteca potrebbe avere un valore superiore all'ammontare del credito garantito)
  • infine, perché un accordo siffatto può ledere eventuali altri creditore, non ugualmente garantiti.
Si aggiunge, altresì, che il divieto del patto commissorio, si estende a qualsiasi altro negozio, ancorché lecito e quale ne sia il contenuto, che venga impiegato per conseguire il risultato concreto, vietato dall'ordinamento, dell'illecita coercizione del debitore a sottostare alla volontà del creditore, accettando preventivamente il trasferimento di proprietà di un suo bene come conseguenza della mancata estinzione del debito ( ciò è quanto enunciato anche in una nota pronuncia della Cassazione, sent. n. 437/09).
Diametralmente opposta, si presenta invece la datio in solutum, disciplinato dall'art. 1197 c.c. che dispone: il debitore non può liberarsi eseguendo una prestazione diversa da quella dovuta, anche se di uguale valore o maggiore, salvo che il creditore consenta. In questo caso l'obbligazione si estingue quando la diversa prestazione è eseguita”.
Per fare un esempio, si pensi a Caio che anziché dare 100 a Tizio, si impegna a riparargli l'automobile.
Appare fondamentale sottolineare che, la datio in solutum può trovare applicazione solo in presenza del consenso del creditore e del debitore, volto a sostituire l'oggetto della prestazione originaria con un oggetto diverso.
Ovviamente il consenso prestato è volto ad estinguere con la dazione di questo nuovo oggetto, l'obbligazione del debitore.
A dirimere ogni dubbio, circa la distinzione tra il divieto del patto commissorio e la dazione in pagamento, è intervenuta la Cassazione con la pronuncia n. 4600/10 affermando che: il patto commissorio, vietato dall'art. 2744 cc, è configurabile solo quando il debitore sia costretto al trasferimento di un solo bene a tacitazione dell'obbligazione e non anche quando tale trasferimento sia invece frutto di una lecita scelta, come nel caso in cui esso sia stato dai contraenti liberamente concordato quale datio in solutum (art. 1197 c.c.)
R.F.





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