mercoledì 9 marzo 2016

Stalking - l'accusa viene meno se la vittima risponde tramite sms


Oggi, affrontiamo un argomento che, ahimè, ai giorni nostri, vede coinvolte un elevato numero di vittime, per lo più donne.
Si tratta del reato di stalking. Suddetto reato è stato introdotto nel nostro ordinamento con  il decreto legge 23 febbraio 2009 n. 11 convertito con la legge 24 aprile 2009 n. 38, all’art. 612-bis c.p., secondo cui, soggiace alla pena prevista per il reato di atti persecutori (reclusione da sei mesi a cinque anni) colui che con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da ingenerare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.
La pena prevista è aumentata qualora il fatto sia commesso al'interno del nucleo familiare (art. 612-bis, comma 2) o qualora sia commesso in danno di particolari soggetti c.d. deboli, quali i minori, le donne in stato di gravidanza o i disabili (art. 612-bis, comma 3).
In particolare, la norma incriminatrice, intende  tutelare il singolo da comportamenti che ne condizionino pesantemente la vita e la tranquillità personale, procurando ansie, preoccupazioni e paure, con il fine di garantire alla personalità dell’individuo l’isolamento da influenze perturbatrici (ex multis Cass. pen. Sez. III, 20 marzo 2013 n. 25889). 
All'uopo, si segnala, altresì, che a diventare  “stalker” può essere un familiare, una persona con cui si aveva una relazione o perfino uno sconosciuto con cui ci si è scontrati, magari per motivi lavorativi. 
In materia, qualche giorno fa,  la Cassazione si è espressa con una decisione che farà storcere il naso a non pochi.
Infatti, con la recentissima sentenza n. 9221 del 7 marzo 2016, i giudici hanno disposto che in caso di stalking, se la vittima  risponde alla chiamata minatoria o anche semplicemente  invia un sms, magari per chiedere al proprio persecutore di lasciarla in pace, allora per lui l’accusa viene meno, e anche le misure di protezione eventualmente applicate, come il divieto di avvicinamento alla vittima.
Questo, però, potrà sempre essere perseguito per ingiuria o minaccia. 
Tutto ciò, secondo gli Ermellini, trova la giustificazione nel fatto che, il comportamento della vittima in qualche modo asseconda il comportamento del persecutore, facendo così venir meno il requisito indispensabile del mutamento radicale delle proprie abitudini e la situazione di ansia che segna in modo irreversibile la vita della vittima. 
Che dire?!!! a mio avviso, non sempre la Cassazione giunge a soluzioni  condivisibili, e questa sicuramente ne è il caso.
R.F.

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